Federica è internazionale: partita dall’Italia, ha vissuto in Giappone per un po’ e oggi vive in Canada, dove si occupa di traduzioni di post, attività di web marketing e testi vari in inglese e francese, anche se la sua formazione include anche la lingua del Sol Levante. In questa intervista ci racconta la sua storia.
L’intervista
1) Come nasce la tua passione per la traduzione?
È una passione che si è sviluppata in modo naturale, in quanto sintesi perfetta di due interessi per cui ho sempre avuto un amore profondo: la scrittura e le lingue straniere. Non ho abbastanza fantasia per scrivere qualcosa di mio (o forse sono troppo pigra), perciò poter utilizzare la bellezza della lingua scritta per raccontare storie di altri mi è sempre sembrato il connubio ideale, anche se fino alla fine del mio percorso universitario non sapevo che sarei diventata traduttrice. E sicuramente un po’ del merito va anche alle canzoni dei Green Day e ai libri di Harry Potter, che sono stati i miei primi tentativi amatoriali di traduzione da adolescente e mi hanno messo sulla retta via.
2) Perché sei partita alla volta del Giappone e quali emozioni ti ha regalato il mondo nipponico?
Quando ho iniziato a studiare giapponese all’università, sapevo poco o nulla del Giappone, ma quei caratteri a me sconosciuti, così pieni di eleganza e di storie da raccontare, mi affascinavano terribilmente. Durante il percorso di studi, partire per il Giappone sembrava la scelta più logica da fare, non solo per migliorare la lingua, ma anche e forse soprattutto per entrare in contatto con una realtà che fino a quel momento avevo solo studiato sui libri. Descrivere le emozioni che ogni volta il mondo nipponico mi regala è un’impresa impossibile, sicuramente è un Paese con cui ho una profonda sintonia e che, nonostante le differenze culturali abissali, sento molto meno estraneo di altre realtà occidentali con cui ho avuto occasione di confrontarmi. È un Paese in bilico costante – tra il detto e il non detto, tra modernità e tradizione, tra progressismo e bigottismo – che io vedo pieno di magia anche nella quotidianità e, benché non sia affatto perfetto, mi ci sento a casa.
3) Fai parte del progetto “La Bottega dei Traduttori”. Come ti sei trovata?
La Bottega dei Traduttori è un progetto che mi ha dato e mi sta dando tantissimo sia a livello professionale che a livello personale. Il mestiere di traduttrice per sua natura richiede tante ore passate al computer in solitudine e, nonostante io stia bene con me stessa, a volte rischia di essere un po’ alienante. Nella Bottega dei Traduttori ho trovato una comunità di persone competenti, professionali, motivate, estremamente gentili e disponibili con cui condividere due grandi passioni: la traduzione e la letteratura. È un porto sicuro a cui rivolgersi quando si hanno dubbi o si vuole semplicemente condividere qualche risorsa utile o un proprio successo, è una piccola famiglia virtuale.
4) Oggi lavori in Canada, dove ti occupi soprattutto di traduzione dall’inglese a livello di web marketing. Questo ti permette di fare dei pro e dei contro: quali sono gli sviluppi più interessanti della scrittura online, soprattutto all’estero, dove ti trovi?
Ormai, grazie a internet, le barriere spaziali sono state abbattute e prodotti e servizi sono fruibili praticamente dappertutto, perciò vedo la scrittura online, tanto più se a fini di marketing, abbastanza uniformata un po’ in tutto il mondo occidentale. Non noto grosse differenze tra la comunicazione online canadese e quella di altri Paesi, perché di fatto tentano tutte costantemente di rispondere all’esigenza di fornire informazioni in modo rapido, conciso, accattivante e quasi sensazionalistico a un lettore che ormai, abituato a voler tutto e subito, non ha più la pazienza di leggere. Diciamo che in Canada, che storicamente è una terra di immigranti, la comunicazione è pensata per essere accessibile a quante più comunità linguistiche possibili (al di là del fatto che le lingue ufficiali siano solo l’inglese e il francese), mentre l’Italia rimane molto più ancorata a un uso esclusivo dell’italiano.
5) Come si riconosce un buon traduttore?
Un buon traduttore deve essere prima di tutto un buon scrittore. Capire alla perfezione tutte le sfumature della lingua da cui si traduce serve a poco se non si è in grado di renderle al meglio nella lingua d’arrivo. Poi, deve avere dei settori di specializzazione, un traduttore tuttologo non può avere la stessa padronanza terminologica di uno che ha studiato una sfera specifica dello scibile (io ad esempio non mi azzarderei mai a tradurre documenti in ambito economico-finanziario, perché non ho le conoscenze adatte per farlo). Infine, deve essere un ricercatore instancabile, essere meticoloso e attento al dettaglio e mantenersi aggiornato sui trend sia linguistici che culturali delle proprie lingue di lavoro.
6) Come si fa a rendere riconoscibile il valore del proprio lavoro?
Per rendere riconoscibile il valore del proprio lavoro, soprattutto in un ambito bistrattato come la traduzione, è importante non essere i primi a svalutarlo. In una società in cui “Google Translate is your best friend”, è compito del traduttore educare il cliente, cercare di fargli capire tutto il processo che c’è dietro a una traduzione professionale e soprattutto quali benefici una traduzione fatta da un professionista, piuttosto che dal vicino di casa che ha studiato inglese al liceo o peggio da traduttori automatici online, può portare alla sua azienda, al suo manoscritto, alla sua reputazione. Poi ovviamente bisogna supportare il tutto con i fatti, producendo risultati di ottima qualità.
7) Quali suggerimenti puoi dare a chi potrebbe, in futuro, avere l’intenzione di contattarti per tradurre un proprio testo?
Innanzitutto, inviterei la persona a visitare il mio sito e/o il mio blog, per farsi un’idea iniziale su di me e su come lavoro (un po’ come quando si cercano le recensioni del tal ristorante su Google, per vedere se ci “ispira”). In secondo luogo, il consiglio che mi sento di dare a un potenziale cliente che volesse lavorare con me, ma penso con un traduttore in generale, è essere aperto al dialogo, soprattutto all’inizio di un progetto.
Per me è fondamentale raccogliere tutte le informazioni (il messaggio che il testo vuole veicolare, l’obiettivo, il tipo di lettore, il registro, eventuali materiali di riferimento, ecc…) che mi permettano di produrre il miglior risultato possibile. È un aspetto a cui molte persone al di fuori dell’industria non pensano, ma mettere il traduttore nelle condizioni di lavoro ottimali può fare la differenza tra un testo discreto e uno ottimo.
Grazie mille per avermi ospitata sul vostro bellissimo sito, è un grande onore!